Un calendario fermo da più di un anno perché nessuno ha più girato le sue pagine, computer spenti da mesi, cavi che spuntano dal pavimento, ma non alimentano più nulla: strumenti, lavoro, routine. E alcuni colleghi, inafferrabili e sfuggenti, presenti per portare a casa le ultime cose; gli oggetti che per anni hanno rappresentato la nostra quotidianità; tazze, foto, porta penne, chiavette della macchinetta del caffè.
In via Carlo Bo, nel quartiere Barona a Milano, si trova il Parallelo, un edificio di vetro appoggiato a dei massicci pilastri neri che sembra quasi una navicella aliena atterrata per sbaglio in periferia. Un edificio che ha ospitato me e i miei colleghi ogni giorno, dal 2015. Che è stato la nostra casa, che è stato smantellato; pian piano, pezzo per pezzo.
Chi se l’aspettava, nel febbraio 2020 che saremmo rimasti a casa tutto questo tempo?
A causa del Covid, niente più vita d’ufficio, niente più chiacchiere mattutine con i colleghi, pause pranzo nella sala comune e conference call schiacciati in qualche booth.
Chi pensava che non saremmo più tornati lì per rientrare in un posto nuovo, in uno “spazio multifunzionale aperto in cui non esistono separazioni per funzioni o per ruoli”?
La routine si è fermata, le abitudini sono cambiate e insieme ad esse il concetto di lavoro d’ufficio.
Questo è il mio progetto fotografico per dire addio a scrivania e sedia personale; per dire ufficialmente addio all’ufficio che siamo abituati a conoscere e vivere.
Foto: Eleonora Festari – Testo: Valentina De Tullio
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